Le Virgole, un appuntamento estemporaneo fra chi ama scrivere e chi ama leggere.


Da quasi due mesi Nicola viveva in quell’appartamento sulla Cassia. Era nervoso e impaziente, quella mattina avrebbero deciso come chiudere l’operazione.

Non uscire per qualche settimana gli era sembrato piuttosto facile all’inizio, ma era ormai molto tempo che viveva così. In altre occasioni, le giornate chiuso in casa con i compagni erano sempre state intense e dense di passione. Si progettavano le azioni future, si faceva il bilancio di quelle passate, si elaboravano documenti e resoconti. Questa volta invece la clausura era condivisa con un avversario, il più temibile antagonista, il nemico di sempre. Nicola aveva immaginato di sfidarlo in serrati confronti faccia a faccia, e per questo aveva subito accettato di essere uno dei custodi del prigioniero. I compagni della sua colonna avevano pensato a Nicola perché era risoluto, ma non violento, avrebbe svolto l’incarico con disciplina, fermezza e riservatezza. Doveva essere un processo di popolo regolare, con il rispetto dovuto all’imputato.

Ma le cose erano andate in modo diverso. Le granitiche convinzioni di Nicola venivano ogni giorno corrose dalla mitezza del prigioniero, dalla fede incrollabile in Dio, dall’amore per la sua famiglia, dalla convinta e inesauribile passione politica. Su questo terreno Nicola non sapeva dove mettere i piedi: comunista, ateo, un contadino emiliano, alla lunga non poteva reggere il confronto dialettico. I compagni ormai non lo riconoscevano più, si era chiuso in se stesso, non partecipava alle riunioni con il solito entusiasmo. Si limitava a dire: “Lasciamolo andare. Non serve a nulla ammazzarlo”. Traspariva da quelle parole una posizione politica e strategica che travalicava il progetto comune, la lotta armata e tutto il resto. Nicola aveva una visione più ampia, che gli altri non capivano o non volevano capire.

Quel martedì erano tutti intorno al tavolo, bisognava decidere, forse qualcuno da un’altra parte aveva deciso per loro, ma nessuno aveva il coraggio di ammetterlo. La discussione proseguiva da un po’ senza arrivare ad una conclusione. L’analisi era sempre una componente fondamentale di tutte le riunioni importanti. Nicola non parlava, fumava nervosamente. Si alzò di colpo e si diresse verso la porta.

“Nicola siediti non abbiamo finito” ordinò Mario. “Vado a fare una passeggiata. Sono quasi due mesi che non esco. Sta storia è durata pure troppo” ribattè Nicola guardando Mario negli occhi.

“Siediti. Fuori è pieno di polizia e carabinieri! Dove cazzo vai?” urlò Mario. “E che fai se esco mi spari? Se ci volevano prendere lo avrebbero  già fatto.”

“Che vuoi dire? Spiegati meglio”.  Mario fece la domanda sperando che Nicola non rispondesse. I dubbi e i sospetti che circolavano tra loro erano nell’aria, ma nessuno aveva voglia di parlarne. “Non avete capito che lo vogliono morto? Che noi gli facciamo un favore ad ammazzarlo?” Nicola si girò ed uscì.

Si ritrovò in strada senza neanche rendersi conto di aver fatto le scale. Per Nicola quello era un quartiere di Roma sconosciuto, lo avevano portato lì di notte e non aveva idea di cosa ci fosse oltre la porta di casa.

L’antica strada romana ora era un’elegante strada borghese. Case signorili a destra e sinistra, raggruppate in comprensori, circondati da alti muri di cinta. Pochi negozi concentrati in bassi edifici dedicati al commercio. Era una mattina di maggio, l’aria fresca della primavera fece ricordare a Nicola le passeggiate da bambino, con il nonno partigiano, nei campi intorno Reggio Emilia.

Dai lussuosi condomini uscivano ragazzi che andavano a scuola e qualche impiegato frettoloso, in evidente ritardo. Una borghesia obbediente che andava ad occupare la giornata feriale. Indifferenti, come aveva scritto Antonio Gramsci, incuranti delle sofferenze e delle ingiustizie del mondo. Indifferenti anche verso quell’uomo che da quasi due mesi era prigioniero e che aveva speso la sua vita per costruire il loro benessere freddo ed egoista.

Nicola sentì un grande senso di sconfitta, stavano vincendo loro, gli indifferenti. Nella lotta tra fascismo e resistenza, erano rimasti alla finestra, pronti a schierarsi con il vincitore, chiunque fosse. La lotta armata non avrebbe potuto riprendere e concludere la rivoluzione incompiuta dei partigiani.

Quegli uomini grigi, chiusi nelle loro automobili, costruite da operai sfruttati e sottopagati, erano felici e realizzati. I loro figli, alle fermate dell’autobus, aspettavano di prendere il posto dei padri, senza sognare altro che conservare il loro status sociale. Portavano capelli corti, indossavano Ray Ban a goccia, giacche di pelle e stivaletti a punta. Precoci fascisti senza convinzione, solo per seguire la moda.

Nicola si muoveva sospettoso e veloce, come un animale finito per sbaglio fuori dal suo habitat naturale. Arrivato nei pressi della Tomba di Nerone si fermò, si sedette su una panchina e si accese una sigaretta. Lì vicino c’era una caserma dei carabinieri, per un attimo pensò di entrare e chiedere: “Ma lo volete salvare o lo volete morto? Se lo volete salvare, io vi porto dove lo teniamo”.

Scacciò quel pensiero folle e riprese la strada in senso contrario. Gli autobus, pronti a riempirsi di fascistelli sbarbati, scaricavano mamme proletarie, che dalle borgate andavano a servizio nelle case dei signori. Nicola non vedeva, negli occhi già stanchi di quelle donne, alcuna voglia di riscatto, sembravano rassegnate a stare dalla parte sbagliata della storia.

Continuò a camminare, più si avvicinava alla prigione più sentiva crescere l’ansia, una senzazione di pericolo gli impediva di respirare regolarmente. Arrivato al cancello condominiale vide i compagni che vigilavano l’ingresso. Iniziò a correre verso il garage dell’appartamento, ma il rumore soffocato di uno sparo annullò ogni speranza.

I compagni lo videro arrivare con gli occhi lucidi e umidi. “Nicola com’è là fuori? Possiamo andare? Hai visto polizia in giro?”.

“Là fuori abbiamo già perso”, sentenziò Nicola.


Roberto Rossi, nato a Roma nel 1964, vive a Ostia con la moglie Paola e con Francesca, figlia venticinquenne. Impiegato in un’azienda che opera nel settore delle telecomunicazioni, si impegna per lasciare il mondo un po’ migliore di come l’ha trovato, dedicando il suo tempo ai giovani, come capo scout, e alle coppie, come animatore di pastorale famigliare. Non sopporta gli opportunisti, i falsi e i carrieristi. Ha sempre avuto la penna facile.


Nota della Redazione:

Il 9 maggio 1978, a Roma in via Caetani, viene rinvenuto il corpo senza vita di Aldo Moro, assassinato dalle Brigate Rosse dopo cinquanta giorni di prigionia. All’alba dello stesso giorno, lungo la linea ferroviaria Palermo-Trapani viene trovato il cadavere del giornalista Peppino Impastato, ucciso per ordine della mafia.

“Ricordare significa anche non rassegnarsi mai nella ricerca della verità” (Sergio Mattarella, 2015)


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