di Silvia Rossetti e Michele Rucco
La nuova frontiera dell’intelligenza artificiale pare sia la sorveglianza emotiva degli esseri umani.
La sperimentazione parte dalla Cina dove, all’interno di questa già supersorvegliata società, dopo l’obbligo del riconoscimento facciale per chiunque possieda uno smartphone, le autorità sarebbero (il condizionale è d’obbligo) orientate a monitorare e controllare anche lo stato d’animo delle persone.
Per ora i sistemi di controllo sono installati in diverse prigioni, centri di detenzione e strutture di custodia. Ma nell’operazione sono coinvolte anche alcune scuole, dove vengono monitorati insegnanti, alunni e personale, e le case di cura per anziani, per rilevare i cambiamenti nello stato emotivo dei residenti, che potrebbero essere predittivi di comportamenti pericolosi. Ci sono degli strumenti installati anche in alcuni centri commerciali e parcheggi e, sempre a titolo sperimentale, nei caschi degli operai di alcune fabbriche, con l’obiettivo di aumentare la produttività e di elevare il livello di sicurezza sul lavoro.
Queste tecnologie, presumibilmente, sono in grado di dedurre i sentimenti di una persona raccogliendo e analizzando i movimenti muscolari del viso, il tono della voce, i movimenti del corpo e altri segnali biometrici, che, attraverso un algoritmo vengono confrontati con gli archivi di espressioni facciali collegate alla rabbia, alla tristezza, alla felicità, alla noia o ad altre emozioni.
Raccogliere queste informazioni sarebbe quindi utile a prevenire crimini o comportamenti violenti, per rilevare potenziali criminali ai posti di blocco della polizia, o anche alunni problematici nelle scuole o persone anziane fragili nelle case di cura, per capire se il lavoratore è stressato, in ansia, depresso, arrabbiato o troppo stanco. Ovviamente esistono margini di incertezza sia in quanto gli archivi sono creati con l’utilizzo di attori che posano in quelle che ritengono essere le varie espressioni dei sentimenti sia in quanto le espressioni facciali possono variare ampiamente fra le diverse culture.
Il sistema appare stupefacente, una di quelle cose che recano con sé la meraviglia e l’orrore.
Gli ideatori di questa sofisticata sorveglianza naturalmente pongono l’accento sugli aspetti benefici della prevenzione e della sicurezza, ma d’altro canto questi dati possono tranquillamente essere usati per profilare e monitorare le persone e allora sono facilmente intuibili le potenzialità economiche che queste tecnologie offrono. Dicono i media che l’affare si aggiri attorno ai 36 miliardi di dollari e che le grandi potenze mondiali siano fortemente interessate ad accaparrarsene una cospicua fetta.
Si immaginano scenari, nemmeno troppo avveniristici, in cui lo scansionamento digitale delle emozioni di platee di consumatori possa dare origine a irrinunciabili offerte commerciali. Dietro le emozioni si nascondono desideri, spesso inconsci e inconsapevoli, che in questo modo vengono a palesarsi e, finalmente, potranno essere esauditi come in una gigantesca lampada di Aladino. Naturalmente ciascuno dovrà fare i conti con le proprie tasche, ma chissà che i “geni delle app” non riescano a perfezionare un sistema a prova di frustrazione…
Magari alla fine della sperimentazione, almeno sul piano materiale, saremo tutti satolli e rubicondi come in uno di quei quadri di Botero, dove tutto appare statico e definito.
Fin qui la meraviglia, dunque.
L’orrore, invece, nasce nel momento in cui ci soffermiamo a pensare che una volta valicati i confini della nostra anima, perché le emozioni ne sono lo specchio, non resterà più nulla di autenticamente umano preservato dall’asservimento al mercato.
Certo, sarà difficile resistere al richiamo di una nuova età dell’oro, nella quale non dovremo neppure fare la fatica di essere liberi e di cercare gli oggetti della nostra felicità, perché saranno questi ultimi a trovarci.
Attenzione però a non confondere la felicità con la rinuncia.
Chi scambierebbe “il richiamo della foresta” dell’intrepido Buck con lo scampanellio del laboratorio dei cani di Pavlov?