Nel panorama dell’arte contemporanea, Walter Valentini occupa un posto singolare: pochi artisti hanno saputo intrecciare con tanta coerenza pensiero, forma e visione. La sua opera, sospesa tra rigore matematico e tensione metafisica, si configura come una sintesi rara di intuizione poetica e razionalità progettuale. Valentini non ha semplicemente “fatto arte”: ha costruito una visione, una cosmologia, un linguaggio capace di parlare all’inconscio collettivo attraverso diagrammi, forme, traiettorie e silenzi. Un’opera che non si limita alla produzione visiva: la sua arte è, a tutti gli effetti, una costruzione mentale, un’indagine sulle coordinate invisibili che regolano spazio, tempo e spirito.

Le radici: tra Rinascimento e Bauhaus

Per comprendere Valentini occorre prima di tutto interrogare le sue radici culturali. Nato nel 1928 a Pergola, in provincia di Pesaro, da giovane, a Urbino, respira l’aria rinascimentale che emana dalle architetture volute da Federico da Montefeltro e dall’utopia prospettica di Piero della Francesca, di Leon Battista Alberti e di Luca Pacioli, fondata sul senso di armonia e di proporzione. Questa influenza si imprime profondamente nel suo immaginario: il rigore matematico della sezione aurea, la spazialità costruita attraverso luce e geometria, l’idea che l’arte sia una scienza sacra. Tuttavia, Valentini non si ferma alla venerazione del passato. A Milano frequenta l’Accademia di Brera, assorbendo i fermenti dell’astrattismo e del razionalismo novecentesco, e guarda con attenzione al Bauhaus, al costruttivismo russo, a Paul Klee e Josef Albers, da cui eredita il valore simbolico della forma pura e il dialogo tra arte e architettura. Anche l’astronomia e la cosmografia saranno per Valentini importanti fonti di ispirazione, con un approccio alle meccaniche celesti matematico e rigoroso, ma non privo di una sua poesia.

Temi e visioni

Lo stile di Valentini è riconoscibile in un lessico visivo rigoroso ma lirico, costruito su trame geometriche, solchi, curve, e superfici trattate con la grazia di un antico alchimista, capace di  trasmettere una sensazione di incanto e poesia, come se ci trovassimo di fronte ad un’opera metafisica. Le sue opere, spesso catalogate frettolosamente come “astratte”, sono in realtà mappe interiori, diagrammi cosmologici che attingono alla memoria della cultura artistica rinascimentale basata sull’armonia e sull’equilibrio, sul senso dello spazio e delle proporzioni architettoniche, ma anche alle intuizioni del moderno sull’infinito, il vuoto, l’energia, proprie delle ricerche astratte dei costruttivisti e dei grandi maestri dell’astrazione e dello spazialismo.

Elementi e simboli secolari quali il cielo, le stelle, il cerchio, il triangolo, il quadrato, la linea, assumono moti centrifughi, a volte centripeti, dove ogni forma di staticità pare inconcepibile, poiché le varie azioni muovono verso un infinito che va oltre il tattile e il visibile, come l’infinito leopardiano.

Le sue opere sono spesso tavole, rilievi, incisioni dove si dispiega un universo fatto di orbite, assi cartesiani, superfici incise e sezionate come piani cosmici. Lì il tempo non scorre: si stratifica. L’artista affronta costantemente il tema del tempo come entità misurabile e allo stesso tempo ineffabile. I suoi grandi cicli di opere come le Stanze del tempo, il Muro del tempo, o la serie dedicata alla Città del sole e alla Città ideale, e ancora le grandi tavole del ciclo Le misure, il cielo, sono tentativi di inscrivere nella materia ciò che sfugge all’occhio comune: la percezione della durata, della ciclicità cosmica, della memoria come architettura invisibile. Non è un caso che Valentini sia stato definito “il costruttore del tempo”: la sua arte è profondamente legata al concetto di durata, di stratificazione temporale, come se ogni opera fosse il risultato di un processo di sedimentazione mentale e cosmica. Eppure, questa complessità è sempre bilanciata da un senso di armonia profonda, quasi musicale.

Al centro della sua poetica, infatti, vi è anche il concetto di ordine. Ma non un ordine sterile e razionalista: è un ordine spirituale, come quello che anima le cattedrali gotiche o le tavole degli alchimisti. Valentini non cerca la rappresentazione ma la rivelazione. Ogni segno inciso, ogni linea dorata, ogni forma è un gesto rituale. L’oro che spesso ricorre nelle sue opere non è decorazione, ma luce condensata, simbolo del sacro.

Valentini ha fatto della stampa calcografica, della pittura e del rilievo su tavola strumenti per scavare nelle strutture invisibili della realtà. I suoi lavori non illustrano, ma evocano. Non descrivono, ma interrogano. Si avverte in essi l’influenza dell’architettura, non solo come disciplina ma come metafora: ogni tratto sembra sorretto da una regola aurea, ogni spazio sembra custodire un silenzio carico di senso. La luce, nel suo universo, non è un fenomeno ottico ma un elemento sacro, che disegna e svela.

Tecniche come linguaggio

Il linguaggio artistico di Walter Valentini si fonda su una padronanza tecnica profonda e meditata. Tra i mezzi espressivi che predilige, la calcografia occupa un posto centrale: l’incisione a bulino, la puntasecca, l’acquaforte e l’acquatinta diventano per lui strumenti di scavo, non solo fisico ma concettuale. Le lastre incise sono mappe intime, superfici che registrano non l’apparenza ma l’eco del pensiero. Alla grafica, Valentini affianca il rilievo su tavola, la pittura su fondo spesso trattato con gesso o stucco, e l’uso sapiente della foglia d’oro e dell’argento, impiegati non per ornamento ma per evocare la luce originaria, il bagliore del sacro. Ogni opera nasce da un procedimento lento, quasi liturgico, dove il gesto è calcolato ma mai sterile, e la materia si fa veicolo di tempo e memoria. L’uso della geometria non è mai decorativo, ma funzionale a un’esplorazione simbolica dello spazio e delle sue tensioni invisibili. In questo senso, la tecnica diventa per Valentini una forma di scrittura metafisica.

Confronti e appartenenze

Schivo e lontano da scuole, correnti e gruppi artistici, nel contesto italiano della seconda metà del Novecento, Valentini si distingue dalla corrente informale, che ha in Vedova e Burri due dei suoi protagonisti principali. Se questi ultimi lavorano sull’energia del gesto o sulla materia come ferita, Valentini costruisce con esattezza quasi leonardesca. Eppure, il suo razionalismo non è freddo: ha la temperatura dell’introspezione e della contemplazione. Accostarlo a Lucio Fontana può essere utile: entrambi scavano lo spazio e cercano una quarta dimensione. Ma se Fontana fende la tela per affermare un oltre, Valentini costruisce ponti per giungervi. C’è in lui anche qualcosa della tensione spirituale di Kandinskij e della musicalità geometrica di Mondrian, ma fusa con una sensibilità tutta italiana per la misura e la luce. Non si limita a decostruire lo spazio, lo trasfigura.

L’eredità

In un’epoca in cui l’immagine tende a essere fugace, epidermica, dominata dalla rapidità, l’opera di Walter Valentini ci invita, se proprio non ci obbliga, a rallentare, a contemplare, a meditare. È un’arte silenziosa, ma non muta. È un’arte che non urla ma persuade, che non impone ma accompagna. Parla a chi sa ascoltare, a chi cerca nella forma non la superficie, ma la soglia. Sul piano culturale, Valentini rappresenta un ponte tra mondi: tra arte e scienza, tra spiritualità e razionalità, tra il retaggio classico e l’ansia del contemporaneo.

Scomparso nel 2022, non è stato solo un artista, ma un pensatore visivo. Le sue tavole, le sue incisioni, le sue “architetture celesti” continueranno a parlarci a lungo, come codici lasciati in eredità a chi vorrà ancora cercare il senso nel segno, la poesia nel rigore, il tempo dentro la forma.

Il suo lascito, riconosciuto anche a livello  internazionale, non è solo estetico, ma etico: ci ricorda che l’arte può ancora essere luogo di conoscenza, meditazione, architettura dell’anima. Come una bussola astrale, il suo lavoro continua a indicarci direzioni, pur sapendo che il vero cammino è dentro di noi.

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