Michelangelo Buonarroti, nato ad Arezzo nel 1475, celebrato come uno dei più grandi maestri di tutti i tempi, incarna la figura del genio universale (pittore, scultore, architetto, poeta), svolge un ruolo determinante nella definizione della maniera moderna. Egli porta l’arte a nuovi traguardi eliminando i riferimenti di tipo spaziale ed eleggendo a protagonista assoluto della sua attività scultorea e pittorica il “corpo umano in movimento” che, supportato da studi anatomici, sarà sempre al centro della sua ricerca.

L’influenza neoplatonica

Frequentò i giardini medicei di Firenze dove venne in contatto con la cultura neoplatonica di Marsilio Ficino e di Pico della Mirandola, che divenne basilare nella sua poetica: la sua intera opera è la dimostrazione di come Michelangelo identificasse l’IDEA con il PROGETTO, un rapporto tipico del pensiero neoplatonico.

In ossequio a questa concezione, negli anni come scultore lascia spesso le opere allo stato di abbozzo, operando per la via “di levare” egli si limita a liberare l’idea imprigionata nella pietra. Emblematico è il San Matteo realizzato per il Duomo di Firenze, che rappresenta il primo esempio del “non finito michelangiolesco”, un’opera che è rimasta appena abbozzata nella quale sembra che l’evangelista si divincoli dalla materia, il marmo, quasi risvegliandosi da un torpore primitivo.

L’adesione alla filosofia neoplatonica portò quindi Michelangelo a non rappresentare la realtà così com’era: l’arte non doveva riprodurre la natura, che è mutevole e imperfetta, ma puntare direttamente alla rappresentazione delle idee, che sono perfette e immutabili. Le opere d’arte, in questa concezione, sono prodotti del pensiero, e ciò è vero anche per il Tondo Doni.

La complessità della scena

Il Tondo Doni, unico dipinto di Michelangelo su tavola mentre tutte le altre sue opere pittoriche sono in affresco, fu commissionato dal ricco mercante fiorentino Angiolo Doni per il suo matrimonio con Maddalena Strozzi nel 1504 o forse per la nascita di un figlio (non si ha certezza). Considerato un capolavoro assoluto della pittura rinascimentale, il Tondo Doni anticipa, per i suoi caratteri stilistici, formali e cromatici, gli esiti dell’arte michelangiolesca della Cappella Sistina.

È concepito come una scultura, in cui la composizione piramidale del gruppo della Sacra Famiglia si impone su quasi tutta l’altezza e la larghezza della tavola. L’intera scena, in maniera innovativa rispetto alle teorie rinascimentali della prospettiva, è caratterizzata dalla presenza di due punti di vista differenti: il gruppo della Sacra Famiglia è mostrato dal basso verso l’alto, mentre i personaggi sullo sfondo sono presentati frontalmente. Questo per rimarcare la differenza, nel tempo ma soprattutto in senso etico e religioso, tra mondo pagano, che è lontano da noi, e mondo cristiano, che percepiamo non solo più vicino, ma anche più “alto” in senso morale e spirituale. Differenza sottolineata ulteriormente dalla luce che nello sfondo è più offuscata e diffusa rispetto al primo piano dove invece è più limpida e diretta: anche in questo caso si tratta di una luce simbolica, di natura spirituale.

La Sacra Famiglia

La Sacra Famiglia è raffigurata al centro del tondo con la Madonna che fa da perno alla complessa costruzione che la lega al Bambino e a San Giuseppe. Maria è seduta a terra con le gambe piegate da un lato; nel suo grembo è posato un libro chiuso, in quanto madre di Cristo è infatti considerata come la Sede della Sapienza. Tiene le mani a sollevare il piccolo Gesù oltre la spalla destra ma non si capisce se lo sta porgendo o lo sta ricevendo da San Giuseppe: l’azione è così ambigua da poter essere letta in entrambi i sensi, dotando la scena di un forte dinamismo. Con gli sguardi Maria e Giuseppe si rivolgono al Bambino che sembra toccare i capelli della madre. Se guardiamo le teste, le mani, le braccia delle tre figure, si vede che formano una composizione saldamente legata, ulteriormente arricchita dalla intensità degli sguardi e dalla loro intimità.

Il gesto di Gesù di porre le mani sui capelli della Vergine ricorda quello di un sacerdote o di un guaritore mentre impone le mani su di una persona bisognosa. La mano sinistra della Vergine, che nello stesso tempo cancella e richiama l’attenzione sui genitali del bambino, ricorda in questo modo la piena umanità di Cristo e quindi la sua doppia natura di Dio e di Uomo, Spirito e Carne.

L’intensità emotiva trova il suo corrispondente nei colori brillanti della pittura a tempera e, nel contempo, la sottile tensione dinamica delle tre figure è sottolineata anche dall’andamento ondulato dell’ampio panneggio delle vesti dalle cromie cangianti e quasi stridenti nell’accostare il freddo e intenso azzurro del manto della Vergine, drappeggiato sulle sue ginocchia, con il rosa luminoso della sua veste. Le pieghe del manto blu in primo piano si riecheggiano nei toni più profondi della tonaca di San Giuseppe e nelle tinte più chiare del cielo e del paesaggio in lontananza.

San Giovanni Battista

Alle spalle della Sacra Famiglia, in secondo piano, un basso muretto o gradino percorre orizzontalmente la scena, un confine che delimita il mondo in due parti, quella pagana e quella cristiana, e rappresenta il peccato originale; sulla destra vi è la figura di un fanciullo con le vesti di pelli e il bastone che può identificarsi in San Giovanni Battista: egli, che fa da collegamento tra l’Antico e il Nuovo Testamento e che favorirebbe anche l’interpretazione dell’origine battesimale del dipinto, occupa la linea centrale in orizzontale del dipinto.

Il Battista ha la posizione della testa e lo sguardo estasiato uguale a quello della Madonna, e ciò ha anche un riscontro sul piano del significato in quanto sia San Giovanni che Maria hanno avuto il dono dell’intuizione profetica ed entrambi sono stati i primi a riconoscere la natura divina del Cristo.

I personaggi sullo sfondo

Lo sfondo presenta cinque figure di ignudi appoggiate o sedute su un muro o un’arida roccia a semicerchio che sono di più enigmatica identificazione e di più complessa interpretazione. Sono di evidente modello classico e sembrano avulse dal contesto della scena, sembrano in atteggiamenti intimistici ed erotici: il loro è un amore carnale che serve a far risaltare l’amore spirituale della Sacra Famiglia. Rappresentano un ricordo del passato pagano anteriore all’avvento dell’era cristiana.

Quindi tutta la scena dipinta va letta come una allegoria della redenzione dell’umanità attraverso l’incarnazione del Cristo e nelle sue varie parti identifica momenti successivi della vicenda umana. Così i nudi pagani sullo sfondo rappresentano l’umanità “prima della legge”, mentre San Giovanni profeta del Cristo annuncia l’umanità “sub legge” e la Sacra Famiglia l’umanità nella grazia con la venuta del salvatore.

Da un punto di vista formale le figure dei nudi indicano il riferirsi di Michelangelo alla statuaria classica dei grandi marmi del periodo ellenistico (III-I secolo a. C.), contraddistinti da movimenti serpentinati e da forte espressività; nel dipinto sono citati puntualmente l’Apollo seduto nella prima figura a sinistra, l’Apollo del Belvedere nella seconda ed il Laooconte nella figura a destra di San Giuseppe. Si noti infine come il paesaggio sullo sfondo è diverso dai contemporanei sfumati leonardeschi, con un cielo sereno, un lago, un prato e alcune montagne in lontananza.

La cornice

Tanto sorprendente quanto il dipinto, la cornice in oro scolpito, è certamente costata ad Angiolo Doni più del quadro. È stata intagliata, probabilmente su disegno di Michelangelo, da Francesco del Tasso, esponente della più alta tradizione dell’intaglio ligneo fiorentino. Vi sono scolpite cinque figure: in alto il Cristo poi due profeti e due sibille, ognuna nel corrispettivo medaglione, circondate da grottesche e racemi, in cui sono nascoste, in alto a sinistra, delle mezze lune, insegne araldiche della famiglia Strozzi.

Il Tondo Doni, realizzato intorno al 1506, ha un diametro di un metro e venti ed è conservato nella Galleria degli Uffizi di Firenze.

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