Le avanguardie artistiche del Novecento

Il Cubismo, il Futurismo e il Costruttivismo sono stati i tre movimenti artistici più importanti dell’inizio del XX secolo, pur sviluppandosi in momenti diversi e in luoghi diversi: il Cubismo si afferma a Parigi nel 1907; il Futurismo fu annunciato in un manifesto a Milano nel febbraio 1909; il Costruttivismo fiorì a Mosca dopo la rivoluzione russa del 1917. Questi movimenti hanno creato nuove forme, sperimentato procedimenti, propugnato nuove teorie artistiche che a tutt’oggi influenzano ancora le nostre idee su scopi e valori dell’arte.

Fra di loro vi furono molteplici collegamenti: nel 1911 i pittori futuristi visitarono gli studi dei cubisti a Parigi e ciò che videro influenzò profondamente il loro stile; i costruttivisti impararono dai cubisti e dai futuristi. Tuttavia, malgrado le similarità, erano portatori di valori molto diversi, valori sia morali e sociali quanto estetici, e si opponevano tra di loro, l’uno contro l’altro.

Il cubismo

Si è detto che l’arte moderna è iniziata con il Cubismo, una rivoluzione pari a quella che si verificò agli inizi del Rinascimento, ma il Cubismo, a differenza degli altri due movimenti citati, non fu mai un movimento, non si confrontò come gli altri con un pubblico più vasto, non ebbe mai un manifesto; un movimento per esistere deve dare dimostrazioni organizzate.

Al contrario il Cubismo nasce come arte deliberatamente privata, essenzialmente esoterica creata da due pittori per se stessi e per una ristretta cerchia di amici. I due pittori erano lo spagnolo Pablo Picasso e il francese Georges Braque, la cerchia di amici comprendeva poeti d’avanguardia come Max Jacob, Guillaume Apollinaire, André Salmon, la facoltosa poetessa americana Gertrude Stein; l’unico altro pittore della compagnia era André Derain, cui si aggiunse nel 1910 Juan Gris. Erano una piccola cerchia che si gloriava del proprio esclusivismo.

Il nome ha un’origine del tutto occasionale: nel 1908 il pittore Henri Matisse aveva descritto, in senso spregiativo, alcune opere di Georges Braque come composte da “piccoli cubi” e l’anno seguente il critico Louis Vauxcelles le definì “bizzarrìe cubiste”: come era accaduto per l’Impressionismo, una denominazione inizialmente negativa diventa il nome ufficiale della corrente artistica.

La scomposizione della realtà

Il Cubismo cercherà di proporre la realtà per come viene rielaborata mentalmente e non per com’è vista: il punto di partenza è l’opposizione alla riproduzione meccanica del reale propria dell’Impressionismo, a favore di una realtà interpretata in modo razionale, un mondo “capito” e non soltanto “visto”.

Gli oggetti, quindi, devono essere raffigurati come realmente sono e non come appaiono. Secondo questo criterio, un cubo non deve essere rappresentato in prospettiva (e quindi come apparirebbe agli occhi di un osservatore) ma con tutti i piani ribaltati. Nella prospettiva possiamo vedere al massimo tre facce e le facce non appaiono quadrate ma a forma di quadrilateri: questo tipo di immagine è “verosimile“, somiglia al modo in cui vediamo le cose, ma non è la “vera“ immagine del cubo.

I cubisti partono, dunque, dallo studio della realtà per scomporla e ricomporla in un nuovo ordine che cancella persino la distinzione tra gli oggetti e lo spazio che li circonda e in questo sono profondamente influenzati dalla pittura schematizzante di Paul Cézanne che con la sua geometrizzazione delle forme, opera la semplificazione dei volumi e dello spazio, attraverso la scomposizione della natura in tre figure principali: cono, cilindro e sfera.

Il medesimo oggetto viene osservato da diverse angolazioni, da più punti di vista che aiutano a ricostruirlo come progetto mentale; poi viene rappresentato sovrapponendo le varie immagini fino a giungere ad una visione simultanea di tanti punti di vista differenti e quindi alla rappresentazione del soggetto nella sua totalità.

L’uso della sfaccettatura

L’elemento base della pittura cubista è l’uso della sfaccettatura, che può variare in dimensioni, ma che conserva le sue caratteristiche fondamentali dal 1908 al 1913: si tratta sempre di una piccola area con una tonalità chiara e due bordi opposti con una tonalità scura e l’area nel mezzo è modulata tra questi due estremi.

Le sfaccettature sono composte secondo tre principi:

  • sono quasi sempre dipinte come leggermente angolate rispetto alla superficie verticale della tela, cioè sono come le persiane di una finestra che sono socchiuse, ma mai del tutto aperte ad angolo retto rispetto al telaio;
  • benché le sfaccettature si sovrappongano e gettino ombre l’una sull’altra, le ombre e le sovrapposizioni sono inconsistenti;
  • i bordi delle sfaccettature si dissolvono, consentendo ai loro contenuti di compenetrarsi l’un l’altro nella maniera che i cubisti hanno imparato da Paul Cézanne.

Questo processo di scomposizione in piani e di successiva ricomposizione disintegra le forme, spezza il contorno in tante piccole parti, elimina la distinzione tra figura e sfondo, fa emerge uno spazio indefinito, dilatato in innumerevoli direzioni e abbandona definitivamente la prospettiva rendendo complicato anche l’individuazione del soggetto dell’opera: in sostanza il dipinto finale è come se fosse il riassunto di ciò che l’artista ha visto girando intorno al soggetto da ritrarre.

In questo modo, per la prima volta, viene mostrata anche la quarta dimensione della realtà, cioè il fattore tempo (anche se a scapito della terza, la profondità), oggetto negli stessi anni della Teoria della Relatività di Albert Einstein. Pur se in campi così diversi, siamo di fronte alla stessa esigenza di superare la conoscenza empirica, sensibile, della realtà per giungere a nuovi modelli di descrizione e rappresentazione del reale: Einstein e Picasso teorizzano contemporaneamente che la conoscenza dello spazio e del tempo sono relativi al punto di osservazione.

Il primitivismo

Altro elemento che influenzò la nascita del Cubismo è stato il conoscere l’arte primitiva dell’Africa e dell’Oceania, con le sue forme schematiche, deformate e geometrizzate. Infatti, l’insoddisfazione che si stava diffondendo in Europa fin dalla metà dell’Ottocento nei confronti della cultura occidentale, intesa come sapere nozionistico, libresco e tradizionale, aveva alimentato l’interesse per il “primitivismo” (che include anche l’arte infantile, arcaica, popolare e quella di malati ed emarginati), per le sue capacità espressive, per la libertà dalle leggi prospettiche tradizionali, per la sensibilità deformante, per la sua forte spiritualità e per la creatività istintiva.

Ufficialmente il Cubismo si sviluppò in un periodo estremamente breve, tra il 1908 e l’inizio della Prima Guerra Mondiale, passando attraverso due fasi: il Cubismo Analitico (1908-1912) caratterizzato da un’accentuata frammentazione delle forme e dall’uso di colori spenti, spesso di un solo tono cromatico (monocromo), e il Cubismo Sintetico (1912-1914), in cui si ha un parziale recupero del colore e delle forme e l’introduzione dell’uso di incollare sulla tela pezzi di giornale e materiali vari (il cosiddetto papier collé), realizzando in questo modo l’ingresso in senso propriamente fisico della realtà nella pittura. L’arte non imita più la realtà: è ormai la realtà a diventare arte.

Pablo Picasso (1881-1973)

Picasso era il capo della banda, per i suoi amici era un genio irresistibile, imprevedibile, enigmatico. Apollinaire e Salmon lo descrivono così nel 1911 “indifferente alle lodi come alle critiche”, “il suo atteggiamento, la sua tuta blu, la sua totale indifferenza allo apprezzamento del pubblico”.

Era stato un bambino prodigio a Barcellona, esordendo nel segno della tradizione verista spagnola, e a Parigi aveva fatto la prima mostra a 19 anni nel 1901 alla galleria Vollard. Le opere dei primissimi anni del Novecento vengono raggruppate in due periodi: quello Blu (1901-1904), in cui in una pittura monocromatica, giocata sui colori freddi, i protagonisti rappresentati sono i poveri di Parigi, e quello Rosa (1904-1906), dove i soggetti privilegiati sono arlecchini, saltimbanchi, acrobati ambulanti o comunque soggetti legati al mondo del circo.

La sua carriera artistica è contraddistinta da una continua sperimentazione di più stili e tecniche. Negli ultimi mesi del 1906 viene a contatto con la cultura nera e con le culture figurative primitive in genere (arte romanica, gotica, catalana, ecc.) che lo avviano verso una nuova ricerca artistica: la scomposizione delle forme reali come ricerca della purezza primitiva in una società che è sempre più alla ricerca di una bellezza artificiale.

Il punto d’arrivo è il quadro Les Demoiselles d’Avignon, opera nella quale vengono unite le soluzioni cromatiche e formali tipiche del Periodo Rosa e una rottura definitiva con la tradizionale rappresentazione dello spazio tridimensionale, a tal punto che costituisce una pietra miliare della storia dell’arte: forse è il primo quadro che abbandona definitivamente il naturalismo, l’idea che l’arte migliore sia quella che imita la realtà come appare ai nostri occhi.

Les Demoiselles d’Avignon

Les Demoiselles d’Avignon è un dipinto realizzato tra il 1906 e il 1907 da Pablo Picasso con colori ad olio applicati su una tela di grandi dimensioni (243,9 per 233,7 cm). Le analisi ai raggi X e le testimonianze dei contemporanei confermano che il quadro è stato più volte rielaborato e ridipinto, perché l’artista provava e riprovava sulla medesima tela le nuove idee che stava maturando. A un certo punto Picasso smise di lavorarci e lo lasciò nel suo studio per alcuni anni fino a quando, nel 1920, venne acquistato da un collezionista francese e nel 1937 dal MoMa – Museum of Modern Art di New York, dove si trova tutt’ora.

Raffigura l’interno del bordello sito a Barcellona in Carrer d’Avinyó (che dà il nome al quadro e dunque le “signorine” non sono avignonesi come suggerirebbe il titolo stesso), con cinque ragazze che si propongono alla vista dell’osservatore, così come di solito le prostitute si offrono ai clienti. Sono disposte frontalmente e mostrano in modo sfacciato la loro nudità. La loro posizione prende direttamente in considerazione l’esistenza di qualcuno che le sta osservando. Con questo espediente, rafforzato anche dai grandi sguardi che le donne rivolgono verso lo spettatore, Picasso ci catapulta dentro l’opera, rendendoci a tutti gli effetti parte del dipinto e non solo pubblico davanti ad un quadro.

Originariamente, nelle prime stesure, erano previste anche due figure maschili, un uomo che entra da sinistra e un marinaio seduto al centro, poi scomparse nelle modifiche successive. La loro eliminazione rivolge il fuoco della composizione del quadro verso l’esterno. La figura a sinistra che era un uomo che entra nella stanza, diventa una donna, parzialmente coperta da una veste, che scosta un tendaggio per rivelare le due figure centrali che posano per l’osservatore.

Picasso, Studio per Les Demoiselles d’Avignon, 1906

Le donne rappresentate

Ciascuna delle donne ha un diverso atteggiamento, alcune indossano un drappo, un velo o un lenzuolo; quattro sono apparentemente in piedi, poste di fronte, di tre quarti e di profilo, e una è seduta. L’immagine della ragazza di sinistra rimanda allo stile egizio con l’occhio frontale e il naso disegnato di profilo; le due figure centrali, rimaste simili ai primi schizzi, hanno i loro volti disegnati con grande chiarezza, uno sguardo più riconoscibile e diretto e richiamano l’arte iberica preromana; le due figure a destra, con la deformità del loro volto, sono evidentemente influenzate dall’incontro dell’artista con le maschere tribali africane di cui riprende sia le forme stilizzate che la scarificazione del legno con tratteggi obliqui.

La figura accovacciata a destra è la realizzazione della più estrema innovazione di Picasso, oltre alla testa grottesca come una maschera, il corpo è curiosamente distorto, con il viso disposto frontalmente ma è impossibile decidere se la figura sta mostrando il ventre o la schiena. Gli occhi ad altezza diversa e la torsione esagerata del naso e del corpo evidenziano la simultaneità delle immagini: è come se il pittore si fosse spostato liberamente intorno al soggetto, raccogliendo informazioni da angolazioni e punti di vista diversi.

Questa figura è presente sin dal primo abbozzo della composizione e vi svolge un ruolo specifico, mentre le altre prostitute stanno ritte intorno, quasi per caso, essa si accoccola di fronte al marinaio, il cliente che siede al centro della scena. Essa si offre in maniera inequivocabile con le cosce divaricate. È accessibile come l’anguria aperta sul tavolo, arredo presente fin dall’inizio e che in origine si trovava fra di loro. Ora nella tela finale il marinaio non c’è più, ma è rimasto questo piccolo frammento di natura morta posto su un tavolino che prosegue verso lo spettatore, contribuendo a catapultarlo dentro l’opera.

Curiosamente, accanto all’arte primitiva, Picasso utilizza anche modelli iconografici classici e rinascimentali: la figura centrale a sinistra, ad esempio, riprende la posa della Venere di Milo, con la gamba nuda protesa in avanti e le spalle inclinate a completare l’equilibrio mentre la donna centrale a destra è ispirata allo Schiavo morente di Michelangelo. Inoltre, riprende temi cari ad altri artisti e li rielabora in modo personale. Per esempio, ritroviamo un simile gruppo di donne nude nel Bagno turco di Jean-Auguste-Dominique Ingres oppure nelle Bagnanti di Paul Cézanne: nel primo caso, essendo il bordello la sordida variante occidentale dell’harem, il tema delle opere è simile, ma lo stile agli antipodi; nel secondo, la composizione del gruppo è simile, ma l’effetto finale è sensibilmente diverso.

Lo sconcerto dei contemporanei

Questa grande tela riempita da cinque enormi donne nude e seminude è ora riconosciuta come l’inizio del cubismo: c’è la rappresentazione delle cose come sono e non come appaiono, la fusione di più vedute simultanee da diversi punti di vista, la disintegrazione della distinzione tra figura e sfondo con conseguente annullamento della profondità prospettica, la geometrizzazione delle figure, l’influenza dell’arte primitiva e dello stile di Paul Cézanne.

L’intento di Picasso nel dipingere Les Demoiselles d’Avignon fu forse quello di creare una cesura con la tradizione artistica. Agli inizi del 1900 infatti alcuni artisti dipingevano ancora con uno stile impressionista e coesistevano inoltre altre rappresentazioni di tipo realista, nonché erano presenti le sperimentazioni e gli artisti post impressionisti quali Vincent van Gogh, Seurat, Cézanne e Paul Gauguin. Edvard Munch deformava le immagini per suscitare una maggiore risposta emotiva dell’osservatore, ma le figure frantumate e distorte inserite in uno spazio multidimensionale create da Pablo Picasso erano ben altra cosa, risultavano sconcertanti: il quadro era fatto per scioccare, era quanto di più vicino all’oltraggio che si potesse trovare in un quadro.

Anche la cerchia degli amici di Picasso era sconcertata. Salmon quando vide il quadro lo denominò “il bordello filosofico” e nel 1912 nella Storia aneddotica del cubismo scrisse “era la bruttezza dei volti che ci raggelava d’orrore, le maschere di Medusa, scioccavano perché sfidavano i canoni rinascimentali della bellezza femminile”. Braque vedendo il quadro gli disse “malgrado tutte le vostre spiegazioni, voi dipingete come se voleste farci mangiare fruste o bere benzina”, ma poi modificò totalmente il suo modo di dipingere a tal punto che ci fu una fase in cui era difficile distinguere i loro dipinti.

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