L’arte del XX secolo

L’arte del XX secolo non è generalmente gradita. Il pubblico da un lato ha con essa un rapporto di morbosa curiosità, a volte inspiegabile,  e dall’altro vi si oppone con un rifiuto sordo e ostinato, rancoroso. Un rapporto cioè di attrazione-repulsione. Questo perché l’arte del nostro tempo non gratifica attraverso le forme, non ci cattura in una “scatola magica” che ci faccia sentire a casa nostra, cosa che caratterizzava la cultura rinascimentale cartesiana, ma potremmo dire che ci gratifica in altro modo.

Tutta l’arte moderna rivendica l’ansioso spaesamento dell’uomo dopo gli orrori della Seconda Guerra Mondiale, dei campi di concentramento, un tormento che minaccia il brillante impiego dell’uomo nell’organigramma prospettico economico e tecnologico della società che è stata dichiarata “degenerata”.

Il sentimento moderno della materia sconfessa, contraddice i tradizionali teoremi dell’arte e i suoi materiali. Si tratti di pittura o scultura o quant’altro, la materia, la creta, il marmo, il bronzo, la tela, il pigmento, non sono più al servizio di, non svolgono più una funzione subordinata all’espressione, ma divengono protagonisti in assoluto, espressione dell’essere.  La materia è “corpo” tessuto in senso stretto, protagonista delle vicende che tormentano un soggetto ferito, condiviso nella drammaticità della comune tragedia umana. È la materia che assume su di sé la dolorosa ferita del soggetto, diventando a sua volta “corpo” di un calvario carico di pulsioni.

Alberto Burri

Alberto  Burri nello scontro novecentesco tra pittura “realista” e “astratta” appartiene a quel gruppo di artisti che nella corrente informale si distingue dall’informale nel segno (Capogrossi) o del gesto (Vedova): egli è il più grande artista della corrente dell’informale materico.

Cioè egli dà importanza al “medium” ossia al mezzo con cui si esprime l’opera d’arte. Ricorrendo a nuovi materiali, che lasciano  dietro sé la bella pittura del postimpressionismo e del postcubismo, egli abbandona il medium della tela e del colore ad olio: usa sacchi, stracci, ferro, legni combusti, cellotex, plastiche, tutti materiali  che con la fiamma ossidrica ferisce e brucia a denunciare come questa nostra epoca sia affine agli scarti, ai relitti, ai materiali effimeri che mutano nel tempo, che degradano nel tempo.

Il suo lavoro si ordina in cicli di materie naturali o artificiali: dai catrami alle muffe, dai sacchi alle combustioni, dai ferri ai legni, dal cellotex ai “cretti”, superfici monocrome  di alto spessore che vengono lasciate asciugare fino a creparsi come terra al sole (da cui il nome che ricorda le fessurazioni delle terre argillose e le screpolature visibili nei dipinti ad olio).

Il Grande Cretto di Gibellina

L’opera più impressionante di Burri è il “Grande Cretto di Gibellina” (anche conosciuto come il “Grande Cretto di Burri”), per la realizzazione del quale le macerie della cittadina siciliana di Gibellina, distrutta nella notte del 14 febbraio 1968 dal terremoto del Belice, vennero coperte da una colata di cemento come se fosse il sudario bianco con cui si copre un cadavere.  I lavori, iniziati nell’agosto del 1985, furono interrotti nel dicembre 1989 per mancanza di fondi con l’opera non ancora completata;  il completamento è arrivato soltanto nel 2015, in occasione del centenario della nascita di Burri.

Nello stesso luogo ove sorgeva il paese prima del terremoto, venne ricostruita la pianta della cittadina, i cubi di cemento racchiusero le macerie delle abitazioni, le vie ed i vicoli vennero trasformate in solchi, creando così una sorta di labirinto che altro non è che il fantasma del vecchio centro storico.

Ogni fenditura è larga dai due ai tre metri e vi si può camminare;  i blocchi sono alti circa un metro e sessanta, un’altezza che permette al visitatore di avere una visione d’insieme da qualunque punto del labirinto egli si trovi; l’intera opera ha una dimensione di 350 metri per 280 e copre una superficie di circa 80.000 metri quadrati, che ne fa una delle più grandi opere di Land Art al mondo.

Dall’alto appare come una distesa di cemento con una serie di fratture che tiene saldamente le materie e i ricordi, facendosi custode della storia e delle persone che in quei luoghi hanno vissuto:  vi è in questo un aspetto di drammaticità, un raccontare la tragedia del vivere attraverso il congelamento della memoria storica del paese.

È, infatti, un memoriale che racchiude al proprio interno la traccia del passato e della vita della comunità che fu sconvolta dal sisma del 1968; è, come in un monumento funebre, un sudario che si poggia invece che sul volto di una persona morta, sulla brutalità della natura; è di fatto una sorta di aldilà:  un cimitero su macerie.

Come arrivare al Cretto

Da Palermo: percorrere l’autostrada Palermo-Mazara del Vallo, uscita a Gibellina.

Da Trapani: Marsala e Mazara del Vallo: prendere l’autostrada Mazara – Palermo, uscita a Castelvetrano. Proseguire seguendo le indicazioni per Santa Ninfa e poi Gibellina.

Le indicazioni con la scritta “Cretto di Burri” sono praticamente inesistenti perciò è consigliabile fare riferimento ai paesi più vicini al sito. Si consiglia di portare con sé acqua, in quanto vicino al Cretto non ci sono bar. I centri abitati più vicini distano circa 10 km percorrendo strade molto tortuose.


Con questo primo articolo, il prof. Mario Lupini, cultore dell’arte ed autore delle sillogi Canti da pietre millenarie e Itaca mia sul colle, ambedue pubblicate da L’Occhio di Horus APS, riprende in ambiente virtuale il ciclo di lezioni “Avvicinarsi all’arte contemporanea” che abbiamo dovuto interrompere in conseguenza del diffondersi della pandemia da Covid19.


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